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COLLABORAZIONI
LUCA CATTAPANE

Il restauro della tela pittorica di Luca Cattapane
nella chiesa di Santa Maria Maddalena


Il restauro della tela Decollazione di S. Giovanni Battista è stato presentato venerdì 21 maggio 2010 presso il Museo Civico di Cremona.


La decollazione di S. Giovanni Battista di Luca Cattapane.

La Decollazione di san Giovanni Battista venne eseguita nel 1597 per l’altare della famiglia Ripari nella chiesa cremonese di S. Donato, che sorgeva a poca distanza dal palazzo di famiglia. La firma e la data (LUCA CATAPAN - F - 1597) si leggono sopra la lama della spada appoggiata al ceppo del patibolo.1
Qui la vide il vescovo Cesare Speciano durante la visita pastorale compiuta l’8 settembre 1600, la cui relazione, che contiene la descrizione della cappella dedicata al santo, è la prima citazione documentaria del dipinto ed anche la prima attestazione di un consenso che sarebbe poi sempre stato confermato. Il quadro infatti viene definito “icona satis ornata”, una definizione sobria, utilizzata nelle visite pastorali dello Speciano per esprimere l’approvazione del vescovo, quando le immagini sacre avevano caratteristiche formali e di contenuto in linea con le esigenze di decoro e di ortodossia della Chiesa controriformista di cui era convinto propugnatore.2 Il dipinto era racchiuso in una grande cornice lignea incisa, dipinta e screziata d’oro, che è la stessa in cui è ancora conservato, lo sormontava lo stemma della famiglia Ripari.3
Quando, il 14 luglio 1808, la chiesa di S. Donato venne soppressa, il dipinto fu trasferito in quella di S. Maria Maddalena, dove esisteva una cappella di patronato della famiglia Bonfio, erede della famiglia Ripari, e venne collocato al primo altare a sinistra entrando.4 Il suo stato di conservazione presentava dei problemi già da tempo, testimoniati dall’annotazione della visita pastorale Litta del 1723 sul fatto che “in angulis dexteris est tela infracta”.5  Da questo altare venne rimosso nel 195?? per essere restaurato, dopo di che, essendo riemersi degli affreschi quattrocenteschi sulla parete della cappella che lo ospitava, venne posto in controfacciata, in una posizione che lo penalizzò, rendendone difficile la fruizione a causa della scarsa illuminazione, che, vista la predominanza dei colori scuri, ne rendeva difficile la lettura.
Del resto la sua ambientazione “in tempo di notte”6 è stato l’elemento che ha favorito la fortuna critica del dipinto, considerato uno dei migliori del pittore già da parte della letteratura artistica cremonese antica e quindi ricordato sia nelle sue biografie sia nelle guide antiche della città.7 Luigi Lanzi fu il primo ad accostare gli effetti di lume di notte che lo caratterizzano alle ricerche caravaggesche scrivendo: “Nel resto o per voler creare un suo proprio stile, o per conformarsi al Caravaggio, ha dipinto più fosco che i Campi e con miglior scelta. […] In S. Donato di Cremona figurò la Decollazione del Battista; opera delle sue migliori, ove più piace l’effetto che il disegno o la espressione”.8 In questo modo l’opera, nonostante l’inesattezza cronologica del Lanzi, veniva correttamente inserita nel contesto del naturalismo lombardo dal quale lo stesso Merisi sarebbe scaturito.
La questione venne ripresa e tratteggiata correttamente molto tempo dopo da Roberto Longhi, che indicò la Decollazione del Battista come uno dei precedenti caravaggeschi o, per meglio dire, come uno degli esiti delle ricerche del naturalismo lombardo maturato, come sarebbe avvenuto nello stesso giro di anni per Caravaggio, sulla scia delle ricerche di Antonio e Vincenzo Campi. Scrisse, infatti, Longhi: “ Ci sarebbe ovvio presentare Luca Cattapane, allievo di Vincenzo Campi, come un piccolo Caravaggio mancato. La sua Decollazione del Battista, già in S. Donato, ora nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Cremona, parrebbe, alla prima, opera di un sufficiente caravaggesco: lume di notte, azione fisicamente violenta, e una certa braveria persino, in quel tratto di firmarsi sull’elsa dello spadone del carnefice. Senonché chi poteva essere caravaggesco alla data che vi si legge, del 1597? E a Cremona poi! Null’altro, dunque, che un seguito, naturalissimo in situ, dell’esperienza di Antonio e Vincenzo Campi”.9
In effetti la Decollazione del Battista risente dell’influsso di Vincenzo Campi, di cui fu allievo,10 ma anche, in maniera sostanziale, delle ricerche luministiche di Antonio. Tale dipendenza si avverte già nella scelta del momento della storia da mettere in scena: non quando il boia vibra il colpo, come fece Bernardino Campi nello stesso soggetto dipinto per la Cattedrale di Cremona nel 1569 o il Malosso in quella per S. Domenico ora al Museo Civico di Cremona del 1590, ma il momento immediatamente precedente della preparazione del condannato, quando il boia costringe il Battista ad appoggiare il capo sul ceppo. E’ una scelta che il Cattapane mutua dalla tela dipinta da Antonio Campi per le Angeliche di S. Paolo Converso a Milano nel 1571, che rappresenta la fonte di ispirazione più diretta per il quadro in oggetto. Di questo dipinto esiste, presso il Museo Civico di Cremona, una versione su tavola di piccolo formato, ritenuta da Longhi, che la donò al museo, un bozzetto preparatorio per la tela milanese, ora invece considerata una copia, che qualche studioso attribuisce allo stesso Cattapane.11 La scelta di questo momento consente al pittore di indagare gli “affetti”, in particolare l’ abbandono rassegnato del Battista, consapevole della necessità della propria morte al termine della missione di precursore.
Per la tipologia dei personaggi, invece Cattapane guarda ad altre fonti campesche. Se in Salomè, la cui voluttuosa eleganza contrasta con la drammatica realtà della scena, è ravvisabile un ricordo corsivo e popolareggiante delle figure femminili di Bernardino Campi (in particolare, per restare nell’ambito dello stesso soggetto, di quelle che compaiono nel dipinto della Cattedrale prima ricordato),  la fisionomia rozza del boia e dell’armigero sulla destra riprendono quelle utilizzate da Vincenzo in Cristo che sta per essere inchiodato alla croce della Certosa di Pavia. Alla lucida visione della realtà che Vincenzo esprime nell’oggettistica dei suoi quadri sacri e profani, come ad esempio nel San Martino-Trasloco del Museo Civico di Cremona, si rifà la natura morta “carceraria” di manette, ceppi, catene, le chiavi del carcere ed il piatto pronto per accogliere la testa del Battista. E ancora a Vincenzo riconducono  le tonalità di verde e di rosso e l’accostamento col bianco, in funzione di rialzo cromatico e luministico.
Questo repertorio figurativo è però inserito in un contesto ambientale e luministico, che costituisce una riflessione e uno sviluppo delle sperimentazioni di Antonio Campi. Con la Decollazione di Milano questa del Cattapane condivide la tragica ambientazione notturna, rotta solo dalle fiamme della fiaccola e della candela, che creano bagliori ed ombre portate, ma la descrizione dell’ambiente è ancora più dettagliata, dai muri alle travi dalle quali pendono gli strumenti di tortura, alle scheggiature del ceppo di pietra. Ne risulta una profondità di campo, che avvicina questo dipinto ad un altro di Antonio Campi, l’Imperatrice visita santa Caterina in carcere della chiesa di S. Angelo a Milano (1584), dove compare anche la suggestiva soluzione della finestrella con le sbarre in controluce, di lontana ascendenza raffaellesca.
Il dipinto costituisce, dunque, un esito intimistico della cultura campesca, ben diverso dall’ esuberante teatralità cui era giunto pochi anni prima, muovendo dall’altro polo della stessa cultura rappresentato da Bernardino Campi, Giovan Battista Trotti detto il Malosso nella Decollazione del Battista (1590) prima ricordata. Due soluzioni diverse, ma entrambe in grado di muovere a devozione e di soddisfare, quindi, le richieste della Chiesa controriformista.
Del dipinto esiste un bel disegno preparatorio (mm. 374x260) oggi conservato al Dipartimento di arti grafiche del Louvre, rispetto al quale l’opera finita presenta solo qualche aggiustamento e poche aggiunte. Con segno incisivo l’artista vi delinea l’ambiente e dà fluidità alle pose delle figure, sottolineando in particolare l’eleganza manierista di quelle femminili, mentre con tratti scuri sfumati e con gesso bianco definisce i valori chiaroscurali, insistendo particolarmente sulle zone di luce destinate ad emergere dall’oscurità. Nel complesso il disegno, eseguito su una carta azzurra che accentua gli scuri, ha già una qualità molto pittorica e lascia presagire una elaborazione finale densa e pastosa.12
Il successo riscosso dalla Decollazione del Battista del Cattapane fin dalle origini è testimoniato, oltre che dai documenti, anche dal fatto che, nello stesso 1597, il pittore replicò il dipinto in formato ridotto (160x135 cm). Lo vide, nella chiesa piacentina di S. Sepolcro, insieme ad una Resurrezione dello stesso pittore, Luigi Scaramuzza, che la definì “finita di notte, molto bella, e risoluta, e toccata di maniera”, sottolineando, in questo modo, gli stessi caratteri che qualificano la versione cremonese: gli effetti luministici del notturno e l’approccio manieristico delle figure.13
Il dipinto è ricordato in questa sede ancora dal Carasi nel 1780,14 dopo di che, avvenuta la soppressione della chiesa, anziché essere trasferito in S. Bartolomeo insieme alla Resurrezione, fu venduto insieme ad altri oggetti d’arte appartenenti allo stesso edificio sacro, forse per le dimensioni ridotte, che lo rendevano appetibile anche ai privati, oppure venne restituito agli originari proprietari. Non si sa, infatti, chi abbia commissionato al Cattapane questa versione della Decollazione, ma si può ipotizzare che a fare da tramite fra il pittore e la città emiliana sia stato quel frate Angelo da Piacenza dell’Ordine minore di S. Francesco, che nell’anno 1600 aveva il compito di celebrare tre messe alla settimana all’altare della famiglia Ripari in S. Donato a Cremona, del quale la Decollazione di formato maggiore costituiva la pala.15 Le dimensioni più ridotte dell’esemplare piacentino fanno comunque pensare ad una probabile destinazione privata del dipinto, passato successivamente nella chiesa di S. Sepolcro e sistemato, secondo la testimonianza di Scaramuzza “in capo alla chiesa nella parte sinistra dell’altare di mezzo”, ossia su una parete del presbiterio. Il dipinto è stato rintracciato in una collezione privata milanese da Ferdinando Arisi, che lo ha pubblicato nel 1999.16
Rispetto alla versione cremonese la tela piacentina non è una semplice replica.17 Infatti la composizione, pur ripetendo integralmente il soggetto, allarga il campo lateralmente in modo da mostrare sulla sinistra per intero l’ancella di spalle e parte del profilo di una quarta donna e, sulla destra, il soldato con la partigiana. Viceversa la restringe nella parte superiore, con la conseguente esclusione dal campo visivo di parte delle travi e una riduzione della finestrella dalla quale si affacciano i curiosi. Anche i personaggi presentano fisionomie leggermente diverse, con qualche maggiore preziosità in quelli femminili. Viene inoltre introdotto un cagnolino proteso ad annusare un oggetto posto a terra.

MARIELLA MORANDI


1 Poche le notizie biografiche oggi note su Luca Cattapane. Non se ne conosce la data di nascita, collocabile comunque nel sesto decennio del Cinquecento, né quella di morte. Fu discepolo e collaboratore di Vincenzo Campi e continuò nella ricerca di una pittura naturalistica ed intima. Delle opere documentate dalle fonti oggi si conservano:i cicli di affreschi con Storie di sant’Ubaldo e la Passione di Cristo in S. Pietro al Po a Cremona, il  Crocefisso con i santi Fermo e Gerolamo e papa Innocenzo I ( 1593) e la Madonna col Bambino, i santi Antonio Abate e Paolo eremita e papa Gregorio XIV (1596) del Duomo di Cremona, l’ampliamento della Deposizione di Cristo nel sepolcro di Lattanzio Gambara in S. Pietro al Po a Cremona, la Resurrezione in S. Sepolcro a Piacenza, l’Adorazione dei pastori nella casa parrocchiale di Maleo, S. Rocco e S. Sebastiano in collezione privata, S. Girolamo e sant’Agostino della parrocchiale di Ospedaletto Lodigiano, dieci quadri con Apostoli del Seminario di Cremona, il Crocefisso con i santi Ambrogio e Carlo Borromeo in S. Michele a Scandolara Ripa d’Oglio, la Madonna col Bambino e i santi Francesco e Nicola da Bari  del Palazzo comunale di Cremona, decorazione delle cappelle laterali della chiesa di Ospedaletto Lodigiano (1599). Non se ne conosce l’anno di morte.
2 Archivio Storico Diocesano di Cremona (d’ora in poi ASDCr) Visita Speciano, vol. 41, c. 728 r.
3 ASDCr, Visita Campori, vol. 62, c.68, visita del 12 ottobre 1627: “decolatio in tela cum coronicis decenti sauro linitis, et in summitatem habet insigna familiae de Ripariis”. Visita P. Isimbardi, vol. 76, c. 588, visita del 14 febbraio 1674: icona in tela depicta rapresentans decolatio S.ti Joannis Baptistae inclusa coronice lignea mista depicta et inaurata, in cuius sumitatem estat insignae familiae de Ripariis in ligno incisus et inauratum”. Lo stemma della famiglia Ripari non si è conservato.
4 ASDCr, Visita Offredi, vol. 198, c. 807, visita del 19 giugno 1827.
5 ASDCr, Visita Litta, vol. 146, c. 5 v, visita del 10 gennaio 1723.
6 Giovan Battista Biff, memorie per servire alla storia degli artisti cremonesi, ms. sec. XVIII, edizione critica a cura di Maria Luisa Bandera Gregori, Cremona 1989, p. 133.
7 Si citano, a titolo di esempio: Anton Maria Panni, Distinto rapporto delle dipinture che trovansi nelle chiese  della città e sobborghi di Cremona, Cremona, 1762, p. 38 (che per prima riporta firma e data del dipinto); Giovan Battista Zaist, Notizie istoriche de’ pittori, scultori ed architetti cremonesi, Cremona 1774, vol. II, p. 61 (che lo definisce “assai bello”); Lorenzo Manini, Memorie storiche della città di Cremona, Cremona 1820, vol. II, p. 10 ( “quadro assai buono”); Giovanni Battista Biffi, Memorie per servire alla storia degli artisti cremonesi, ms. sec. XVIII, ed. crit. a cura di Maria Luisa Bandera Gregori, Cremona 1989, p.133 ( “In S. Donato si ammira la Decollazione di S. Gio. Battista nel carcere in tempo di notte dove mostrò il nostro pittore quando intendesse gli effetti del lume oltre il darsi a conoscere un valentuomo e nel colorito e nel dissegno, e nella sempre difficile espressione degli affetti”); Giuseppe Picenardi, Nuova guida di Cremona per gli amatori dell’arti del disegno, Cremona, 1820, p. 223 ( “bel quadro”); Giovanni De Vecchi, Brevi cenni storici sulla chiese di Cremona che furono e che sono, Cremona 1907, p. 79 (“opera assai bella”).
8 Luigi Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso la fine del XVIII secolo, Bassano 1795-96, ed. cons. Pisa 1816, vol. 4, p. 142.
9 Roberto Longhi, Quesiti caravaggeschi: II. I precedenti,  in “Pinacotheca”, n. 5-6, 1929, ed. cons. in “Opere complete”, Sansoni, Firenze, 1968, p. 131.
10 Antonio Campi, Cremona fedelissima, Cremona 1585, p. LiiiJ.
11 Per la questione si veda la scheda di Giulio Bora in La Pinacoteca Ala Ponzone. Il Cinquecento, a cura di M. Marubbi, Milano, Silvana Editoriale, 2003, p. 126.
12 Il disegno è stato pubblicato da M. Tanzi, che però lo attribuisce, con argomentazioni un po’ forzate a Lattanzio Gambara: Marco Tanzi, Tre disegni del Cinquecento bresciano, in “Prospettiva”, n. 73-74, Firenze, 1994, pp. 161-164. E’ entrato al Louvre nel 1998 con attribuzione a Luca Cattapane: Jean Christophe Baudequin in Revue du Louvre, 1999, n.1, pp. 83-84,
13 Luigi Scaramuzza, Le finezze dei pennelli italiani ammirate e studiate da Girupeno (Perugino) sotto la scorta di Raffaello d’Urbino, Pavia 1674, pp. 169-170,
14 Carlo Carasi, Le pubbliche pitture di Piacenza, Piacenza 1780, pp. 57-58. Anche Carasi apprezzò il dipinto per le sue qualità luministiche e scrisse: “Merita molta lode il bravo artefice avendo saputo col lampo d’una sol face dar lume alla oscurità della prigione. E’ quindi un bel vedere le varie figure mostrarsi più o meno in quanto sono lumeggiate dallo spruzzo de’ lumi, e questi apparir parte crudi, e taglienti, parte dolci, e sfumati”.
15 ASDCr, Visita Speciano, vol. 41, c. 728 r.
16 Ferdinando Arisi, Storia di Piacenza dai Farnese ai Borbone (1545-1802), vol. IV, tomo 1, Piacenza 1999, p. 422.
17 Il dipinto mi è noto solo attraverso la fotografia pubblicata da Arisi.


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